Dentro la mente della macchina: cosa ci raccontano i circuiti sparsi
Riflessioni a margine dell’articolo “Understanding neural networks through sparse circuits” – OpenAI, 13 novembre 2025
C’è una domanda che ritorna ogni volta che mi siedo davanti a un modello di intelligenza artificiale: che cosa sta succedendo, davvero, là dentro?
Non in termini di formule, layer o matrici.
Mi interessa un’altra cosa: come prende forma un’idea nella mente della macchina?
Come fa un modello a trasformare un prompt in una risposta che sembra pensata, costruita, a volte persino creativa?
Per molto tempo ci siamo accontentati della risposta più semplice: funziona; è una risposta utile, pratica, ma ormai non ci basta più.
Se l’AI entra nelle nostre aziende, nei nostri processi, nei nostri progetti creativi, non possiamo più fermarci a un “funziona e basta”.
Ecco perché l’articolo di OpenAI, “Understanding neural networks through sparse circuits”, mi ha colpito.
Per la prima volta la ricerca apre uno spiraglio verso un tipo di interpretabilità più maturo, meno decorativo.
Una lente che consente di osservare i modelli da dentro, non solo di giudicarli da fuori.
Feature sparse: la prima crepa nella scatola nera
Lo studio parte da una constatazione tanto semplice quanto netta: i singoli neuroni non sono interpretabili.
Si attivano in mille situazioni diverse, spesso senza una logica leggibile.
Per questo i ricercatori hanno smesso di cercare “il neurone dell’ironia” o “il neurone della matematica”.
Hanno fatto un passo di lato e hanno iniziato a mappare le cosiddette feature sparse.
Una feature sparsa è un micro-concetto. Un pattern coerente che si attiva solo in certe condizioni. Una piccola costellazione di neuroni che, accendendosi insieme, sembra incarnare un significato preciso.
Nello studio compaiono esempi di feature che riconoscono:
passaggi in stile Shakespeare,
linguaggio minaccioso,
coordinate geografiche,
competenze tecniche particolari.
Non più un neurone-magico, ma un gruppo di neuroni che lavorano insieme.
Una mini-squadra concettuale.
I circuiti: quando i concetti cominciano a collaborare
Le feature non vivono isolate.
Si combinano, interagiscono, costruiscono catene di attivazioni.
Quando questo accade, entrano in gioco i circuiti.
Un circuito è un processo, una sequenza di feature che collaborano per produrre un comportamento del modello, una sorta di flusso di ragionamento interno.
Gli autori del paper delineano una struttura chiara:
feature che si attivano → si collegano tra loro → formano circuiti → generano un output coerente.
È una mappa embrionale di ciò che potremmo chiamare il “pensiero” della macchina.
Non esaustiva, non definitiva, ma per la prima volta concreta.
Perché questa scoperta conta davvero (anche fuori dai laboratori)
Quando si parla di AI in azienda, formazione, comunicazione o creatività, la domanda che ritorna più spesso è: come facciamo a fidarci?
Finché l’AI è una scatola nera totale, la fiducia è fragile.
Quando invece iniziamo a individuare processi interni, concetti, flussi e connessioni, la dinamica cambia.
L’AI smette di essere un oracolo e torna a essere un sistema.
Qualcosa che possiamo osservare, spiegare, correggere, dirigere.
Per chi crea contenuti, per chi lavora con le idee, per chi forma altre persone, questo è essenziale:
possiamo progettare prompt in modo più consapevole,
possiamo capire meglio errori e allucinazioni,
possiamo spiegare l’AI senza ricorrere a metafore mistiche,
possiamo costruire una collaborazione più informata tra persone e modelli.
La trasparenza non serve solo ai ricercatori: cambia il modo in cui lavoriamo ogni giorno.
Il lato creativo delle feature
Leggendo il paper, ho avuto una sensazione curiosa:
le feature sparse assomigliano molto ai frammenti creativi che usiamo noi quando costruiamo una storia.
Un tono, un dettaglio, un contesto, un ritmo.
Piccoli mattoni che, messi insieme, generano qualcosa di più grande.
La creatività artificiale non nasce da un colpo di genio, ma dall’intreccio di tante micro-parti; forse ma dico forse, potrebbe anche non essere troppo diversa dalla nostra, che si alimenta di associazioni, strutture, influenze, pattern.
Capire le feature significa capire la grammatica profonda con cui i modelli generano.
Una domanda che rimane aperta
Dopo aver letto “Understanding neural networks through sparse circuits”, mi porto a casa un interrogativo semplice ma decisivo:
Che cosa cambierà nel nostro modo di lavorare quando potremo osservare davvero i ragionamenti interni di un modello?
E ancora: se potessimo vedere quali circuiti si attivano mentre creiamo con l’AI, come cambierebbe la nostra idea di creatività?
Forse osservando la mente della macchina, capiremo qualcosa in più anche della nostra.
Tu cosa ne pensi?


